Alcune riflessioni teoriche
Il mio lavoro parte e si sviluppa intorno all’essere umano ed alle dinamiche interumane. Esploro le caratteristiche che contraddistinguono l’essere umano come tale: la componente fisiologica e quella patologica, la mia ricerca si svolge in queste due direzioni, come se fossero due facce della stessa medaglia… come nel metodo scientifico...il concetto di malattia è indissolubilmente legato ad una precedente sanità. E così porto avanti due progetti paralleli: da una parte, con "human species-specific", cerco di rappresentare le caratteristiche che contraddistinguono l'essere umano per la sua bellezza originaria e dall'altra, con "morti sporche", prendo in prestito la aberrante tragedia delle morti sul lavoro per parlare di come il disfacimento dell'interesse dell'essere umano per un altro essere umano possa portare al totale annullamento di tale poesia.
Tra le caratteristiche specificamente umane ce ne è una che mi affascina maggiormente, ed è l’idea che la linea non esiste in natura, ma è solo l’essere umano che ha la capacità di immaginarla.
Il bambino alla nascita ha una percezione visiva totalmente nebulosa ed incerta; comincia a definire i contorni verso il periodo dello svezzamento, che coincide con la maturazione delle componenti organiche che permettono la percezione visiva (lobo occipitale e fondo dell’occhio) e con l’autonomia nei confronti del seno materno. Interessante è il fatto che lo svezzamento è una delle quattro separazioni fondamentali della vita umana e la linea viene concettualizzata come idea di separazione.
I bambini, spontaneamente, ancora prima di imparare a scrivere, disegnano segni incerti con i quali si esprimono. Questo segno spontaneo caratterizza anche il passaggio dal Neanderthal al Sapiens: affascinante è l’ipotesi che questo passaggio antropologico lo potrebbero aver determinato le donne, autrici di figure inventate sulle pareti delle caverne mentre gli uomini cacciavano. Queste figure inventate non nascevano da un bisogno materiale, ma da una esigenza interna di espressione, direi irrazionale. Il segno primordiale poi si sviluppa e diventa linea, linguaggio, numero, scrittura, partitura musicale, figura geometrica, tutto sempre espressione dell’unicità umana: nessun animale inventa segni o figure geometriche, disegna, scrive poesie o partiture musicali.
Tutto parte dunque da un’esigenza interna, da un’immagine interna e dalla necessità di esprimerla come espressione della propria identità.
Con le mie opere cerco di esprimere queste immagini irrazionali, indagando sulla formazione del pensiero alla nascita, sul tempo/movimento interno dell’essere umano, i sui affetti.
Tutto sempre e comunque intorno alla linea come presenza umana; con una ricerca continua di equilibrio, anche stilistico, un’armonia cercata nei colori, nelle forme, nelle luci, ma che non sia lucida, costruita; al contrario, un’armonia interna dell’opera e dell’immagine rappresentata, una solidità che si contrappone all’incoerenza o alla dissociazione, alla razionalità fredda. Il tentativo è quello di rappresentare delle immagini che raccontano di una fondamentale sanità e di sfatare il falso mito che il sonno della ragione genera mostri.
Sul mio lavoro
Quando affronto un tema cerco sempre di rappresentarlo con diverse modalità: pittura, video e installazioni.
In alcuni cicli ho indagato sulla nascita, sull’identità ancora incerta ma esistente e, nelle opere pittoriche, ho dunque insistito più sulla struttura interna dell’opera, con trame di linee, maglie di colore che sostengono la tela e che a volte sono più evidenti, squarci di luce, e a volte sono completamente coperte, ma comunque esistenti, struttura di identità che sorregge l’esistenza umana e che è alla sua base.
Utilizzo tecniche diverse, a volte colature, per una visione meno chiara, più nebulosa o sognata, regressiva, o sovrapposizioni di colori e segni per strutturare di più la tela ma lasciando che la struttura si intuisca solamente, non sia evidente, così come avviene negli affetti umani.
In altri cicli ho focalizzato l’attenzione sul suono e il silenzio e successivamente sulla scrittura, ed ho iniziato ad applicare dei fili sulle tele.
I fili sulle tele, inizialmente mi rappresentavano il pentagramma o la linea di scrittura, poi sono diventati dei percorsi, guide che dialogavano con le immagini raffigurate; mi piace applicare questi fili per cercare l’esterno, andare oltre la tela, cercare il confine e il dialogo tra immagine interna del quadro e quella complessiva che emerge dopo l’applicazione, verificare se quell’applicazione emerge dal quadro, lo completa, è in armonia, fa parte della sua struttura oppure è estranea, lo disturba, gli fa perdere identità.
Il filo che spesso appongo nelle opere oggi mi rappresenta una linea come movimento che tende all’infinito; fino al 2011 lo inserivo solo all’interno dell’opera aderendolo alla superficie pittorica, in questo ultimo anno invece il filo lo posiziono all’esterno dell’opera scostato dalla tela di 1 o 2 centimetri, come se la matrice dell’opera, rappresentata dal filo, abbia preso, per separazione, una propria identità autonoma ma complementare con l’insieme dell’opera, che ora è diventata installativa.
I progetti
Sull’ultimo progetto, “human species specific”, il filo disegna o una linea “aperta” oppure una forma geometrica…il perché specifico non l’ho ancora capito, ma vedo e sento che mi funziona bene e vedo che è un po’ la sintesi stilistica delle tante sperimentazioni eseguite negli ultimi anni. Il filo esterno forse racconta di quella immagine che spinge e muove la mano e il corpo dell’artista a comporre un’immagine per farla diventare comunicazione, creatività.
Appunto, ancora sto elaborando e lavorando su questa grande domanda: cosa succede nella fase in cui un artista trasforma un’idea in un qualcosa di percepibile? Qual è il passaggio mentale fra immagine inconscia non onirica e il linguaggio artistico? Se parliamo di pittura vorrei sperare che dall’immagine si passa ad un pensiero pittorico per poi arrivare ad un linguaggio pittorico, un po’ come succede nel linguaggio, dove prima del linguaggio articolato si passa per un pensiero verbale. Ovviamente non ci si rende conto di questi processi mentre accadono, cosí come non ci si rende conto di cosa succede mentre si crea un'opera. E così dipingo tele o altri supporti, cercando le immagini indefinite, le ombre, i diversi colori degli affetti umani, i passaggi dagli uni agli altri ed il legame con il filo/pensiero/immagine che affianco, applico o sovrappongo.
I video e le opere installative sono sempre in dialogo con le opere pittoriche e li uso per indagare e scendere a livelli diversi di ricerca sull’immagine. Su questo ciclo dedicato alle dinamiche “fisiologiche” dell’essere umano, ricorrente è il movimento invisibile del rapporto interumano, che nei video rappresento a volte con immagini più riconoscibili anche se indefinite, a volte scegliendo un linguaggio più astratto.
Nelle installazioni è sempre la linea la mia curiosità/ossessione. Spesso interagisce con l’opera pittorica, vi si sovrappone come fascio di luce (in generale uso luce a led), la luce che stimola la retina alla nascita e permette la creazione del pensiero umano. Fili invisibili sospesi nell’aria, con linee spezzettate di scrittura che si intravedono. Fili che formano geometrie/pensieri in armonia con la struttura che li sorregge, dipinta con stratificazioni e colature di colore, sempre in movimento, come l’inconscio umano.
Durante il lavoro “fisiologico” riguardante l’esplorazione di quelle dimensione belle, piacevoli, caratterizzanti l’essere umano come essere ricco di fantasia che cerca di realizzare delle esigenze, la ricerca ha subito una sorta di “virata” perché mi sono soffermato su un pensiero che non mi abbandonava: l’identità sociale è strumentale all’identità umana? L’identità sociale serve a soddisfare i bisogni primari che mi permettono di sopravvivere; con l’identità umana cerco la realizzazione delle esigenze, che vanno oltre i bisogni. Come si fa a realizzare le esigenze, l’identità umana, se ancora oggi nel XXI secolo c’è chi muore per soddisfare i bisogni, per raggiungere l’identità sociale?
Così è nato il progetto “morti sporche”, che porto avanti parallelamente.
In morti sporche esploro cosa succede internamente all’uomo quando perde il suo rapporto con se stesso e con l’altro e vede l’altro solamente come cosa utile da usare e non salvaguardare; cerco cosa impedisce all’essere umano di gridare e pretendere la propria esistenza di fronte all’assenza altrui.
Prendo come pretesto, come provocazione il tema delle morti sul lavoro. Dico che è un pretesto non perché la cosa non mi colpisca o non mi faccia stare male, ma perché non mi interessa denunciare il fenomeno in sé: se pur gravissimo e orrendo, è solo un dato di partenza; quello che mi interessa è perché succede? Non a livello materiale, ma da un punto di vista psichico.
Mi interessa allora esplorare questo annullamento della persona umana, apparentemente per ragioni materiali, questo credere al pensiero mors tua vita mea che porta invece alla morte di entrambi, perché se annullo l’altro annullo contemporaneamente anche la mia umanità, che si sviluppa nella relazione con l’altro. E mi interessa esplorare questa malattia dell’annullamento dell’identità umana non sotto un profilo individuale, della singola relazione, ma come fenomeno sociale, legato anche al periodo storico in cui la soddisfazione dei bisogni è largamente superata e soddisfatta, quindi qui c’è un vero e proprio paradosso.
In questo ciclo la figura manifesta a volte compare, come denuncia di freddezza e razionalità. Applico alle tele oggetti, quasi sempre dischi di frullino consumati o comunque utensili da lavoro, perché l’annullamento ha reso la fantasia umana solo materia e l’essere umano non è persona, ma lavoratore, numero, evocato dallo strumento di lavoro. L’oggetto lo impongo sulla tela, a infastidire, a evocare il lavoratore che non c’è, l’essere umano che è stato reso e si è fatto rendere strumento.
La nebulosità in questo ciclo è come se perdesse di forza e si disgregasse e ha un senso completamente diverso, spesso diventa sovrapposizione e stratificazione che nasconde la realtà interna, la cancella, la rende inafferrabile. La linea però continua ad esserci, i fili applicati mi sono diventati espressione stessa della presenza umana, anche se a volte intrecciata, imbrigliata o interrotta da oggetti materiali. E’ la possibilità di ritrovare la fantasia, di rifiutare l’annullamento.
Nei video è raccontata da un lato la quotidianità/ripetitività che rende burattini fino a frantumare l’identità ormai di vetro; dall’altro evoco una morte sul lavoro, un allarme sottovalutato, non “sentito”, che porta alla confusione ed alla esposizione al pericolo, al dramma ed alla successiva cancellazione del dramma. Lo faccio però non raccontando il fatto ma inventandolo con una storia che è in mezzo tra l’animazione e la realtà materiale trasformata in altro, dove la presenza umana pervade interamente il video senza esserci manifestamente.