L’intervista ad Alessio Ancillai: arte tra dimensione fisica e psichica
My Templart_ Ilaria Carvani
http://news.mytemplart.com/it/alessio-ancillai-tra-dimensione-fisica-e-psichica/
Oggi incontriamo Alessio Ancillai, un artista romano con un passato da studente di medicina che l’ha portato ad approfondire ed appassionarsi agli studi sulle relazioni tra dimensione fisica e dimensione psichica, nelle loro complementari parti razionale e irrazionale.
Nell’ultima mostra alla galleria Pio Monti intitolata “Umano Specie Specifico_luce e sangue” l’artista, con precipua cifra stilistica, seppur usando diversi media, ha stimolato lo spettatore a riflettere su un’idea di luce diversa da quella a cui siamo abituati, partendo da un’analisi e critica del pensiero illuminista.
Approfondendo, abbiamo notato che Alessio Ancillai adotta un metodo non convenzionale nella sua ricerca: vista la sua formazione scientifica, la sua visione culturale segue due progetti assolutamente contrapposti. Quindi partendo dalla ricerca su ciò che caratterizza l’essere umano come tale nel suo aspetto fisiologico, Ancillai propone anche quelle dinamiche che tendono a far perdere tali specificità umane.
L’indagine è sviluppata dunque attraverso due filoni: da un lato “Umano specie-specifico” da cui la recente mostra personale da Pio Monti con il capitolo luce e sangue (con testi critici in catalogo di Angelo Capasso e Mike Watson) nonché l’esposizione presso il Teatro Eliseo Abandoning reason generates fantasy (a cura di Ludovica Palmieri) e, di contraltare, “Morti Sporche” presso Garage Zero con il capitolo Curriculum In Vitae (a cura di Mauro Piccinini).
Nella personale presso la galleria Pio Monti arte contemporanea, Ancillai ha provato a raccontare, proprio nell’anno internazionale dedicato alla luce dall’UNESCO, che la luce illuminista in realtà non rischiara le menti in quanto l’essere umano non si caratterizza per il pensiero razionale. L’uso del LED è lo spartiacque tra questi due mondi che coesistono, ma al tempo stesso è parte integrante di entrambi, il legame tra res cogitanse res extensa secondo il ragionamento Cartesiano. Ancillai, definito artista multimodale da Angelo Capasso, propone un discorso di tale composizione che non potrebbe essere altrimenti, il mezzo diventa metafora dell’elemento che di volta in volta è necessario narrare.
Nell’altro filone di indagine, “Morti sporche”, l’artista prende in prestito la tragedia delle morti sul lavoro per riflettere su come la soddisfazione dei bisogni che Marx definisce “necessità eterna della natura che ha la funzione di mediare il ricambio organico fra uomo e natura, cioè la vita degli uomini” possa causare l’interruzione della vita stessa a causa di un disinteresse dell’essere umano nei confronti di un altro essere umano.
Ilaria Carvani: Alessio, come è nato l’interesse nei confronti della produzione artistica, è sempre esistito o è subentrato spontaneamente durante i tuoi studi quale mezzo per intraprendere un percorso di indagine?
Alessio Ancillai: Per mia fortuna ho sempre respirato arte e cultura in famiglia, soprattutto cinema e pittura e ho dei bellissimi ricordi da piccolissimo quando stavo insieme a mio padre mentre dipingeva… l’odore dei colori ad olio l’ho cominciato a respirare così… In età pre-adolescenziale, scrivevo poesie che in realtà erano pensieri e, sempre in quell’età, cominciai a divertirmi con le tempere e così, nel tempo ho imparato nuove tecniche pittoriche, ma sempre per gioco. Andando avanti ho affinato, studiato e approfondito la tecnica, ma non pensavo di dedicarmici professionalmente, ero interessato alla Medicina ed ho vinto il concorso per l’ingresso all’Università. Successivamente, da studente ho lavorato come tutor in una comunità terapeutica psichiatrica e tenuto dei laboratori sempre in ambito psichiatrico presso l’Asl Rm/D ma contemporaneamente dipingevo e cercavo il senso latente che esiste nella produzione artistica e le due cose, l’arte e gli studi di medicina, quasi si intrecciavano tra loro e gli studi di medicina diventavano uno stimolo per le ricerche artistiche … poi ho cominciato ad esporre. Portare avanti gli studi, il lavoro e la pittura stava diventando dispersivo, così decisi di dedicarmi interamente all’arte. In arte si mette in gioco il proprio vissuto e quindi, il percorso di indagine in arte sicuramente è stato influenzato anche dai miei studi scientifici.
I.C: Umano specie specifico e Morti sporche: come sono interconnesse tra loro questi due direzioni della tua indagine?
A.A: I due cicli di lavoro sono fortemente in relazione, in quanto mi permettono di fare un discorso rovesciando l’idea che l’essere umano si contraddistingue per il pensiero razionale e che nell’irrazionale ci sia il male, la malattia o il caos originario. Con “Umano specie specifico” cerco di parlare di quali siano le caratteristiche che contraddistinguono l’essere umano come tale e con “Morti sporche” quali invece possono essere le dinamiche che lo disumanizzano. In “Morti sporche” prendo in prestito la tragedia delle morti sul lavoro per dire quanto sia assurdo che, ancora oggi, ci si ammali o si muoia per soddisfare i propri bisogni e quanto tutto ciò sia irrinunciabile al fine della realizzazione personale. Gli animali per tutta la vita perseguono un utile per soddisfare i bisogni necessari alla sopravvivenza e al mantenimento della specie, mentre all’essere umano questo non basta.
Quindi la ricerca verte nella differenza fra le esigenze e i bisogni. Mi piace pensare che i bisogni debbano essere garantiti a chiunque, poiché la finalità dell’essere umano non può essere quella di passare la vita a perseguire la soddisfazione dei bisogni, che è sempre e solo legata al fisico, allo spazio, alla coscienza. Passiamo circa 33 anni della nostra vita dormendo, anche se sembra banale, mentre dormiamo non siamo morti.
I.C: Partendo da una riflessione generale sul tuo lavoro mi viene da pensare che tu intenda dire che l’immagine altro non è che l’estrinsecazione di un rapporto tra razionale e irrazionale. Penso al tuo lavoro Abandoning reason generates fantasy. Mi spiego meglio: nell’elaborazione e nella comprensione di un’immagine secondo te questi due elementi sono interdipendenti e imprescindibili?
A.A: Questa domanda oltre ad essere complessa obbliga l’entrata in una discussione ai confini della filosofia, psichiatria e linguistica. L’immagine è l’espressione non verbale di un pensiero profondo, non razionale, perché non comunica attraverso il linguaggio articolato, bensì attraverso forme, colori, o solamente linea. Basti pensare ai sogni, che compaiono nella mente durante il sonno, quando cioè il corpo non è in movimento, e resta nel silenzio della notte. Quindi, è la mente irrazionale, senza coscienza, che crea immagini di fantasia, perché al contrario, la razionalità riproduce e ricorda solo le figure viste o i suoni già ascoltati e imparati. Non c’è creazione di immagine. L’artista, invece, è in grado di creare immagini anche nello stato di veglia, che è necessario per utilizzare gli strumenti, le tele, le luci..e la tecnica. Nell’artista, cioè, si verifica una trasformazione per cui, anche rimanendo “cosciente” e “razionale”, emergono immagini dal profondo che non possono essere una riproduzione esatta del percepito. E non sono sogni, perché il pittore, lo scultore o il musico è sveglio, parla, si muove, ma contemporaneamente lascia emergere questa sua realtà irrazionale e profonda per creare qualcosa, un’immagine appunto, che prima non c’era, come elaborazione del vissuto.
Il legame tra razionale e irrazionale, pertanto, è alla base di ogni creazione dell’artista. Se ci fosse una scissione netta, un filo spinato, tra queste due dimensioni psichiche, non ci sarebbe la possibilità di creare immagini universali, suoni o poesia, poiché la realtà senza coscienza rimarrebbe nascosta, o meglio annullata, perdendo la sua dimensione fantasiosa.
L’artista non può creare la sua opera nello stato di sonno, proprio perché il corpo è inerte. Ha bisogno della veglia e della coscienza, ma non della razionalità. In altre parole, l’artista, nel massimo compimento della sua identità, riesce a esprimere un linguaggio irrazionale, attraverso le immagini, mettendo da parte la razionalità.
Per questo, non c’è dipendenza tra razionale e irrazionale, perché non deve esserci alcuna scissione. Forse ci deve essere un’ottima separazione tra il sonno e la veglia. Sicuramente, all’artista servono entrambe, l’una (la razionalità) per utilizzare al meglio gli strumenti e la tecnica, l’altra (l’irrazionalità) per creare un’immagine di fantasia, che la razionalità non avrà mai modo di generare.
I.C: Come al solito ti facciamo una domanda sulla tua sensibilità nei confronti dell’archiviazione, pensi che una catalogazione sistematica del lavoro possa rappresentare un elemento ulteriore di tutela?
A.A: Qualche anno fa mi trovai per la prima volta davanti ad un collezionista che mi chiese di fargli vedere un’opera dei primi anni ’90, io lo guardai incredulo, quasi già ad immaginarmi la faccia che avrebbe fatto alla vista dei miei primi olii, un secondo dopo pensai: “ma dove sono?”, foto non ne avevo e neanche su qualche hard disk, chissà dove… Per mia fortuna nella casa in campagna, nel piano superiore, esiste ancora l’enorme camera dove sono cresciuto dai 10 anni fino a che non sono andato via, un enorme camera che era la mia casa, il mio studio, il mio salotto. Oggi moltissime opere le tengo lì e sto provvedendo, impegni permettendo, a fotografarle, impacchettarle e poi archiviarle in un hard disk dedicato solo a loro. Cominciare a pensare all’elemento “catalogazione” mi ha fatto bene non solo per dare un ordine, ma mi ha fatto pensare al rispetto che va sempre portato nei confronti del proprio lavoro, alla propria storia. La catalogazione sistematica come elemento di tutela? Penso proprio di sì, mi sto ponendo questo problema da un po’ e vedo che oltre ad essere necessario per ritrovare presto qualche opera e per la memoria storica, mi fa ripercorrere delle tappe della vita che oggi mi serve per riconoscere e capire altro ancora. Una tutela sì delle opere, ma non solo, anche del proprio vissuto, anche di quelle scelte che hanno fatto nascere quelle opere e non altre.
Ilaria Carvani
My Templart_ Ilaria Carvani
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Oggi incontriamo Alessio Ancillai, un artista romano con un passato da studente di medicina che l’ha portato ad approfondire ed appassionarsi agli studi sulle relazioni tra dimensione fisica e dimensione psichica, nelle loro complementari parti razionale e irrazionale.
Nell’ultima mostra alla galleria Pio Monti intitolata “Umano Specie Specifico_luce e sangue” l’artista, con precipua cifra stilistica, seppur usando diversi media, ha stimolato lo spettatore a riflettere su un’idea di luce diversa da quella a cui siamo abituati, partendo da un’analisi e critica del pensiero illuminista.
Approfondendo, abbiamo notato che Alessio Ancillai adotta un metodo non convenzionale nella sua ricerca: vista la sua formazione scientifica, la sua visione culturale segue due progetti assolutamente contrapposti. Quindi partendo dalla ricerca su ciò che caratterizza l’essere umano come tale nel suo aspetto fisiologico, Ancillai propone anche quelle dinamiche che tendono a far perdere tali specificità umane.
L’indagine è sviluppata dunque attraverso due filoni: da un lato “Umano specie-specifico” da cui la recente mostra personale da Pio Monti con il capitolo luce e sangue (con testi critici in catalogo di Angelo Capasso e Mike Watson) nonché l’esposizione presso il Teatro Eliseo Abandoning reason generates fantasy (a cura di Ludovica Palmieri) e, di contraltare, “Morti Sporche” presso Garage Zero con il capitolo Curriculum In Vitae (a cura di Mauro Piccinini).
Nella personale presso la galleria Pio Monti arte contemporanea, Ancillai ha provato a raccontare, proprio nell’anno internazionale dedicato alla luce dall’UNESCO, che la luce illuminista in realtà non rischiara le menti in quanto l’essere umano non si caratterizza per il pensiero razionale. L’uso del LED è lo spartiacque tra questi due mondi che coesistono, ma al tempo stesso è parte integrante di entrambi, il legame tra res cogitanse res extensa secondo il ragionamento Cartesiano. Ancillai, definito artista multimodale da Angelo Capasso, propone un discorso di tale composizione che non potrebbe essere altrimenti, il mezzo diventa metafora dell’elemento che di volta in volta è necessario narrare.
Nell’altro filone di indagine, “Morti sporche”, l’artista prende in prestito la tragedia delle morti sul lavoro per riflettere su come la soddisfazione dei bisogni che Marx definisce “necessità eterna della natura che ha la funzione di mediare il ricambio organico fra uomo e natura, cioè la vita degli uomini” possa causare l’interruzione della vita stessa a causa di un disinteresse dell’essere umano nei confronti di un altro essere umano.
Ilaria Carvani: Alessio, come è nato l’interesse nei confronti della produzione artistica, è sempre esistito o è subentrato spontaneamente durante i tuoi studi quale mezzo per intraprendere un percorso di indagine?
Alessio Ancillai: Per mia fortuna ho sempre respirato arte e cultura in famiglia, soprattutto cinema e pittura e ho dei bellissimi ricordi da piccolissimo quando stavo insieme a mio padre mentre dipingeva… l’odore dei colori ad olio l’ho cominciato a respirare così… In età pre-adolescenziale, scrivevo poesie che in realtà erano pensieri e, sempre in quell’età, cominciai a divertirmi con le tempere e così, nel tempo ho imparato nuove tecniche pittoriche, ma sempre per gioco. Andando avanti ho affinato, studiato e approfondito la tecnica, ma non pensavo di dedicarmici professionalmente, ero interessato alla Medicina ed ho vinto il concorso per l’ingresso all’Università. Successivamente, da studente ho lavorato come tutor in una comunità terapeutica psichiatrica e tenuto dei laboratori sempre in ambito psichiatrico presso l’Asl Rm/D ma contemporaneamente dipingevo e cercavo il senso latente che esiste nella produzione artistica e le due cose, l’arte e gli studi di medicina, quasi si intrecciavano tra loro e gli studi di medicina diventavano uno stimolo per le ricerche artistiche … poi ho cominciato ad esporre. Portare avanti gli studi, il lavoro e la pittura stava diventando dispersivo, così decisi di dedicarmi interamente all’arte. In arte si mette in gioco il proprio vissuto e quindi, il percorso di indagine in arte sicuramente è stato influenzato anche dai miei studi scientifici.
I.C: Umano specie specifico e Morti sporche: come sono interconnesse tra loro questi due direzioni della tua indagine?
A.A: I due cicli di lavoro sono fortemente in relazione, in quanto mi permettono di fare un discorso rovesciando l’idea che l’essere umano si contraddistingue per il pensiero razionale e che nell’irrazionale ci sia il male, la malattia o il caos originario. Con “Umano specie specifico” cerco di parlare di quali siano le caratteristiche che contraddistinguono l’essere umano come tale e con “Morti sporche” quali invece possono essere le dinamiche che lo disumanizzano. In “Morti sporche” prendo in prestito la tragedia delle morti sul lavoro per dire quanto sia assurdo che, ancora oggi, ci si ammali o si muoia per soddisfare i propri bisogni e quanto tutto ciò sia irrinunciabile al fine della realizzazione personale. Gli animali per tutta la vita perseguono un utile per soddisfare i bisogni necessari alla sopravvivenza e al mantenimento della specie, mentre all’essere umano questo non basta.
Quindi la ricerca verte nella differenza fra le esigenze e i bisogni. Mi piace pensare che i bisogni debbano essere garantiti a chiunque, poiché la finalità dell’essere umano non può essere quella di passare la vita a perseguire la soddisfazione dei bisogni, che è sempre e solo legata al fisico, allo spazio, alla coscienza. Passiamo circa 33 anni della nostra vita dormendo, anche se sembra banale, mentre dormiamo non siamo morti.
I.C: Partendo da una riflessione generale sul tuo lavoro mi viene da pensare che tu intenda dire che l’immagine altro non è che l’estrinsecazione di un rapporto tra razionale e irrazionale. Penso al tuo lavoro Abandoning reason generates fantasy. Mi spiego meglio: nell’elaborazione e nella comprensione di un’immagine secondo te questi due elementi sono interdipendenti e imprescindibili?
A.A: Questa domanda oltre ad essere complessa obbliga l’entrata in una discussione ai confini della filosofia, psichiatria e linguistica. L’immagine è l’espressione non verbale di un pensiero profondo, non razionale, perché non comunica attraverso il linguaggio articolato, bensì attraverso forme, colori, o solamente linea. Basti pensare ai sogni, che compaiono nella mente durante il sonno, quando cioè il corpo non è in movimento, e resta nel silenzio della notte. Quindi, è la mente irrazionale, senza coscienza, che crea immagini di fantasia, perché al contrario, la razionalità riproduce e ricorda solo le figure viste o i suoni già ascoltati e imparati. Non c’è creazione di immagine. L’artista, invece, è in grado di creare immagini anche nello stato di veglia, che è necessario per utilizzare gli strumenti, le tele, le luci..e la tecnica. Nell’artista, cioè, si verifica una trasformazione per cui, anche rimanendo “cosciente” e “razionale”, emergono immagini dal profondo che non possono essere una riproduzione esatta del percepito. E non sono sogni, perché il pittore, lo scultore o il musico è sveglio, parla, si muove, ma contemporaneamente lascia emergere questa sua realtà irrazionale e profonda per creare qualcosa, un’immagine appunto, che prima non c’era, come elaborazione del vissuto.
Il legame tra razionale e irrazionale, pertanto, è alla base di ogni creazione dell’artista. Se ci fosse una scissione netta, un filo spinato, tra queste due dimensioni psichiche, non ci sarebbe la possibilità di creare immagini universali, suoni o poesia, poiché la realtà senza coscienza rimarrebbe nascosta, o meglio annullata, perdendo la sua dimensione fantasiosa.
L’artista non può creare la sua opera nello stato di sonno, proprio perché il corpo è inerte. Ha bisogno della veglia e della coscienza, ma non della razionalità. In altre parole, l’artista, nel massimo compimento della sua identità, riesce a esprimere un linguaggio irrazionale, attraverso le immagini, mettendo da parte la razionalità.
Per questo, non c’è dipendenza tra razionale e irrazionale, perché non deve esserci alcuna scissione. Forse ci deve essere un’ottima separazione tra il sonno e la veglia. Sicuramente, all’artista servono entrambe, l’una (la razionalità) per utilizzare al meglio gli strumenti e la tecnica, l’altra (l’irrazionalità) per creare un’immagine di fantasia, che la razionalità non avrà mai modo di generare.
I.C: Come al solito ti facciamo una domanda sulla tua sensibilità nei confronti dell’archiviazione, pensi che una catalogazione sistematica del lavoro possa rappresentare un elemento ulteriore di tutela?
A.A: Qualche anno fa mi trovai per la prima volta davanti ad un collezionista che mi chiese di fargli vedere un’opera dei primi anni ’90, io lo guardai incredulo, quasi già ad immaginarmi la faccia che avrebbe fatto alla vista dei miei primi olii, un secondo dopo pensai: “ma dove sono?”, foto non ne avevo e neanche su qualche hard disk, chissà dove… Per mia fortuna nella casa in campagna, nel piano superiore, esiste ancora l’enorme camera dove sono cresciuto dai 10 anni fino a che non sono andato via, un enorme camera che era la mia casa, il mio studio, il mio salotto. Oggi moltissime opere le tengo lì e sto provvedendo, impegni permettendo, a fotografarle, impacchettarle e poi archiviarle in un hard disk dedicato solo a loro. Cominciare a pensare all’elemento “catalogazione” mi ha fatto bene non solo per dare un ordine, ma mi ha fatto pensare al rispetto che va sempre portato nei confronti del proprio lavoro, alla propria storia. La catalogazione sistematica come elemento di tutela? Penso proprio di sì, mi sto ponendo questo problema da un po’ e vedo che oltre ad essere necessario per ritrovare presto qualche opera e per la memoria storica, mi fa ripercorrere delle tappe della vita che oggi mi serve per riconoscere e capire altro ancora. Una tutela sì delle opere, ma non solo, anche del proprio vissuto, anche di quelle scelte che hanno fatto nascere quelle opere e non altre.
Ilaria Carvani